La poesia di Biagio Cepollaro

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versi nuovi (testo integrale)

Biagio Cepollaro

Versi Nuovi

    (1998- 2001)

INDICE

 

Prima Sezione.

Versi nuovi

Lasciali dire

L’ho vista ancora

Per ogni giorno

1999

Dopo un anno

Superstringhe

Emendamento dei guasti

Seconda Sezione.

Il piccolo e il grande

Corso Buenos Aires, finestra

Tutto questo sparirà

Dopo due anni

E’ così

I sassi. Che sono tanti

Terza Sezione

Secondo incipit

Dopo tre anni

Arriva, torna

Quattro giugno duemilauno

Quarta Sezione

Nel tempo, dietro

(Il tempo,dopo)

**

***

****

(Nel tempo)

00

000

0000

(Il tempo,dietro)

Una parola per chiudere 

Postfazione di Giuliano Mesa

Note

 

Al Ven. Thamthog Rimpoce,

alla monaca buddista e poetessa Giulia Niccolai,

al Maestro di Tai-chi-chuan Gaetano Lauria.

A loro devo tutto quel poco di nuovo che è sorto in me

nel corpo, nella parola, nel cuore.

 

 

   

Prima sezione

 

Emendamento dei guasti
 

versi nuovi

 

 

 

dovendo noi trincerarci solo per aprire qualche vuoto ma intendiamoci

sul vuoto: aprire,

                          aprire dov’è il solido

 

dell’accadere

 

è questo intrufolarsi nel vivo di ciò che segue e farci

un punto

 

d’onore l’avvertire in quel trambusto il  presente 

                      ti dissi:

 

respira        respira             e intendevo a quarant’

 

anni

 

qualcosa dovrà pur significare questo liberare il tavolo questo voltare

le spalle senza acredine per sentire la schiena e caldo finalmente

l’addome

 

             aprire dov’è il solido è così che mi sono diverso:

 

finché non chiesi alla testa di svuotarsi sottovoce di farsi calma

per sola ingestione di vuoto

 

                          da ora in poi non scriverò

 

più saggi starò attento a non confondere quadro e cornice e a non far voce

grossa a non gonfiare il petto a dire  mentre giustappunto sono caduto

 

in un buco se affondi solo un po’ il piede già

comincia a precipitare dentro tutta la sabbia chissà perché viene così

 

naturale il fango

 

a faccia giù a darci con i denti a prenderne a pezzi: quelli che da soli

si fanno male a due a due a cinque con i morsi  a cento con i pezzi

 

in bocca

 

e giù

 

nella pece nel ghiaccio a testa in giù occhi cuciti bocche sconnesse con solo

la voglia di far male per non più

 

sentire

 

anche a me capita di strapparmi i capelli e dare un pugno sullo stipite

della porta per poi stendermi col sangue alla testa che è sempre auto

 

lesionista odiare chi si ama e il male è che dopo l’esplosione lo senti

ingombrante il biagiocepollaro non sapevi dove metterlo e allora l’hai

 

scagliato

 

contro il muro il cosoversificante il petardo non più loquace

ma poeta era quello che sentiva e da lì  parole chissà questa alchimia

 

a trasformare

 

umana merda in oro quando se qualcosa si trasforma è comunque cosa

dell’intestino se in bene è salutare e il corpo va leggero e meglio reagisce

 

alle ingiurie

 

se no il piombo ci resta attaccato con le uova  che attraverso

non ci passa neanche il neutrino che ogni giorno da parte

 

a parte

trafigge la terra

 

 

appunto 

da ora in poi non scriverò più saggi

 

a chi    per chi    e dentro cosa?

i nomi dentro intorno per cosa?

 

le parole neanche più

oblique ricadono verso la terra neanche di striscio è finito è finito il tempo

 

dei nomi

 

e finalmente posso iniziare a parlare nel mezzo della fine delle parole iniziamo

a distinguere  e allora l’energia sale dai piedi e da lì alle gambe fino alla vita

 

così talvolta viene dolce

la saliva

 

in bocca

 

e la sera è calma dicendo pioggia

e la calma sale dai piedi chè va nutrita

 

l’intelligenza

 

con la calma e allora viene pioggia

e tanta ne venne quando ti dissi:

 

respira        respira             e intendevo a quarant’

 

anni

 

non può passare inosservato questo maleficio dell’occidente né si potrà

più credere in un nuovo universale diluvio  si sbranano non si sbranano

 

si amano anche

 

ed è che non c’è tempo da prendere rincorse a beccare stelle

della speranza è roba che per forza deve essere a portata ci devi

 

andare piano

 

con la speranza  non basta una cappella sistina il passaggio

dato nella tormenta e neanche il coraggio di rischiare piccolo

destino

 

 

non riusciremo mai a fare come le api e dicono che quelle e simili saranno

a coprire distanze i milioni di anni non noi che l’essenziale per sopravvivere

 

nel tempo

 

ignoriamo                                                                                            

 

piove non piove un po’di sabbia sui vetri dal deserto del resto

spirante del mondo piove non piove qualche naso schiacciato

 

contro le finestre

 

ci deve essere un altro modo del bene ci deve essere un altro modo

per far defluire tutta quest’acqua  c’è un inizio per ogni inizio

 

 

nella storia il bene non ha inizio il bene è altrove

 

                                                                                                          1998

   

 

 

 

 

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lasciali dire   

   

 

 

 

 

lascia lasciali dire      curvarsi

                                                   invecchiare          lascia

che passioni di un tempo

                                              nel tempo si facciano

cancrene:

 

non è così  non è così che qualcuno

 

non può

             morire

 

 

piano piano dell’animale agitato su e giù per la parete

con l’arte di non farsi vedere fatta in milioni

di anni

 

per tirar su la specie

 

non resta che

                      il guscio

 

e avrebbe dovuto mutare      ancora

vincere in debolezza      in coraggio

 

                     di cambiare

 

 

la bellezza bruciata non serve a nessuno lo studio matto

e disperato è follia e disperazione: le cose

 

non le puoi ingannare con gioco di parole devi stare

al gioco delle cose

                              e allora

ferma il mondo e ringrazia la palla di girare con giusta

inclinazione sull’asse

                                   e ringrazia la luna che di quattro

 

centimetri

all’anno                                                        si allontana

 

 

 

 

 

fu quando decisi di perdere colpi che ho cominciato

davvero a girare: il tempo è lento il tempo è un lago

 

e prende avvio

 

da ogni punto e cominciai col non rispondere col dire

di mia iniziativa aprendo innanzi

 

tutto il campo del discorso

 

e così scoprii che il campo è lento che il campo è lago

e prende avvio da ogni ramo da ogni detto e scoria

 

sparsi

 

 

doveva essere così nella preistoria: l’aria

limpidissima                                 rumori

 

spaventosi e inospitali ma era chiaro

dall’alba                                  al tramonto

 

doveva così nella preistoria da giovane

muove il fiuto ma non regge

 

la semplicità né due

parole a dire l’essenziale

 

allora si ricama e uno

ha l’illusione di deviare il corso

 

strappando di sé

il nome in un libro di storia fatto

 

paragrafo: quando il racconto è tutto

la memoria al dunque è sequenza

 

di pose

 

 

 

lascia lasciali dire        irrigidirsi          penare        

a loro

            non importa

                              del piacere          perché davvero

 

                                               questa

 

è una cosa complicata: pensa, secoli e secoli perché un miliardo

di persone non possano bere acqua che non ti fa morire e ti viene

 

quasi da ridere se li pensi in cravatta telefonino indici fluttuanti

di borsa: ma anche eichmann era sempre elegante e aveva confidenti

 

tra i sionisti

 

lo dice chiaro al processo si era dato da fare per trovare posto

agli ebrei solo che bufala trovata si chiamava madagascar: cioè

 

cinque milioni di persone da trasportare per tutta l’africa: anche lui

cercava modo compatibile con lo sviluppo ci credeva anche perché

 

fino ad allora

 

aveva fatto a percentuale scontento il rappresentante: la storia

non si ripete mai

                            è la stessa

                                               storia che

continua

 

 

 

lascia

                  lasciali dire

 

                                                                                      1998

 


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l’ho vista ancora

   

 

 

 

 

l’ho vista ancora distesa la linea bella e dritta

del mare e lo stupore pensando al vivo e non

 

ostante confusione immessa dall’odio dall’olio nostro

bisogna solo dimenticare               staccare d’un colpo

 

la spina

 

vent’anni a mettere mattoni a credere edificare fosse aggiungere

sommità                        vent’anni dentro

 

l’idea

 

dell’alto e del basso         a misurare il fatto col da fare

 

                              

cosa faccio con linea dritta che sfodera onde apre

e chiude

 

pagine

 

apre

e chiude

 

questo denso di tenere molecole che s’affinano affinano fino ad essere più

leggere

 

dell’aria

 

così immagino un abbraccio       e dico bisogna stabilizzare questa intensità

di ioni farne una splendida abitudine come la calda quiete del nucleo

 

della terra tutto fuoco e metallo tutta lentezza di rotazione  perché sopra

ci sia erba ed acqua e noi a chiederci ancora se quello che c’è sopra la terra

 

sia cosa buona

 

 

vent’anni a mettere mattoni a credere edificare fosse aggiungere

non diminuire

 

vent’anni perso nell’attuale a simulare storia l’intreccio di miserie

senza presente che chiamano attività intellettuale li vedi anche tu

 

con in faccia

 

scritto il terrore di sparire e l’illusion di farcela a scampare per sola

malignità

 

e non dovrebbe non dovrebbe esserci ancora tanta rabbia

che ogni rottura fa lo sgambetto al flusso

 

di comprensione        cosa ottunde cosa occlude in troppe

sere è come tornare a zero

                                   il gatto che sul ramo avanti

 e indietro non si fida

 

a saltare        il millepiedi che ci pensa al prima

e al dopo

 

e non fa più un passo

 

la volontà non c’entra e non cresce

alla fine

 

sarà come un riflesso distratto anche per noi

 

il bene

 

e quello che invece si chiedeva da loro –da noi- era

aver attraversato

 

una volta per tutte deciso di scendere come l’acqua fa

per il pendio

 

verso il basso

 

non di star a galla comunque

         

chi s’aggrappa alla carcassa dell’ala

chi alla tavola che una volta fu nel salone delle feste      piace così

 

tanto l’idea del naufragio

 

che parla di loro –di noi- in un giorno qualsiasi fermi al semaforo

tornando dal lavoro la chiglia immensa e ribaltata le luci all’incontrario

malconci poggiati su quello che una volta era il soffitto

 

ma poi s’ingrana e il mare torna a stare sotto

come un affare

d’agenzia

 

di viaggio

 

e si tratta di diminuire

                                   farsi sorgente    lasciar perdere           andare

per tornare e smuovere      acqua

tutta quell’acqua che non cresce e non si perde e vuole

 

abbattersi farsi muro e schiuma per poi calma

mente farsi indietro    infinitamente   ritirarsi                                   

 

 

                                                                                          1998

 

 


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 per ogni giorno

 

 

 

dovrei dire anch’io a quarant’anni ciò che a venti

non si poteva dire chè ti viene naturale all’inizio solo

quello che hai sentito dire       il resto

che conta

 

nessuno te lo dice ci devi

sbattere per poi scoprire

che anche un applauso ti porta

fuori

strada che debole

è la via

e veramente oscura            e chiesi

 

come fare

ad avere mente

ordinaria

 

 

sale la collera

lasciando indietro la testa

sale

per visceri aggrovigliate e muove una specie

di voce che fa della voce

 

grugnito

 

e dormendo si fa avanti la preistoria

                io ci vorrei parlare

col rettile cervello non è male in lui gli fa male

solo il silenzio

 

ma come fare ordinaria

la mente                   e la domanda

su solco sbagliato

che non c’è solco né pista che non c’è disco

su cui girare e nulla gira

intorno né si muove a spirale non lo puoi

prevedere         si muove

e basta

 

 

che il bene non è fatto

di  volontà la storia che uno

decide

 

delle sue azioni sembra davvero se s’impegna

trattiene la mano non preme il pulsante ci dovrebbe essere

sempre rosso

 

telefono che puoi fare scoppiare la bomba dicendo tra venti

minuti arrivano missili hai giusto il tempo di armare

e forse spedirli da questa parte

 

 

 

tutta la vita a cercare di vivere

dentro

il giorno
è strano come crescendo

o invecchiando

è strano

come si vada dal grande

presunto al piccolo

come colui che chiese:

 

maestro, e ora che devo fare di tutto

 

questo

 

 

                              vuoto?

                                       

 

e il maestro rispose:                            gettalo via

 

 

                     oppure

fallo.

                           

che il vuoto

non è veramente vuoto finchè lo tieni in mano con le mani

a coppa

allora gettalo

via che non ti serve

a niente che è ancora

qualcosa

e chiesi

come questo s’illumini e che il vivido

dello scorcio in un’ora

della casa

o la confusione al bar per chi paga

si faccia  vivido       come insomma il vivo

abbia luce

 

intanto continuo anche in pieno giorno a fare

 

buio                                                                                  1998

   

 

 

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1999

   

 

 

si va avanti           vado avanti ?                      non so

che voglia dire ma so che molto ho dimenticato tanto

da non aver nulla da dire neanche un colpo

di telefono

a capodanno per gli auguri al punto d’aver creduto          

senza panico perduta con i numeri la vecchia

agenda

 

chi c’è        mi viene

a mente

ci sarebbe nel bisogno e nella distrazione

non scompare

 

ecco forse un po’ ho lasciato andare

 

le persone e per questo

le cose che ci sono non devo ricordarle

 

in un appunto

 

 

vado avanti ?

                                 

indietro

se

ancora fibrillo ancora  per lo più  mi perdo e c’è

sempre un di troppo, un di troppo poco, c’è sempre insomma

la vecchia ansia di perfezione l’occhio che valuta

il successo dell’azione

 

anche se è proprio l’azione che vorrei disfare

 

la vita intanto pare che non basti per sé sola che sia solo

una risorsa muta da destinare a qualcosa che vale

più di lei e infatti

sacrificano, costano come quando si dice:

è costata quaranta milioni di vite, quelle che si avvitano ingoiate

dalle statistiche e vite

che si danno come  ti ho dato tutta

la mia vita o come munch vecchio che dice:

all’arte ho dato

tutta la vita ora è l’arte che dà

a me

 

vite consegnate ad una missione dove si vince

o si perde    vite sportive da primati          appunto

da primate.

 

d’altra parte trentamila anni è troppo poco per giudicare la specie neanche il tempo

di ambientarsi

 

fin qui i primi

tentativi fin qui testate test di mondiali

 

precoci civiltà

sopraffazioni

a fronte delle quali gli antibiotici il radar l’aspirina un notevole

allungamento delle speranze

di vita

 

non importa cosa

poi ci fai  se stirata a morsi e palestra forse già

bionica eugenetica

 

come nel dialogo di platone il comandante

della nave modesto a trasportare

illesi i suoi passeggeri perché lui non poteva

sapere se per tutti era bene

la vita

se qualcuno in cuor suo diverso

non avrebbe voluto naufragio

d’un colpo e non per sua colpa

andare

a picco

 

 

e poi vite evolute che sono quasi sempre dove si trovano

 

come ieri con pino ed andrea nel bar dell’immanenza

globali economie contro i conti della spesa

 

male è la sbornia cerebrale bene è quella specie

di pace nel mezzo del trambusto forse anche la breve

capacità di amare di invecchiare nell’amore

 

il discorso è scivolato subito al fatto che la trappola

dell’azione è per lo più non rispondere

a bisogno

che anche ad esser contro t’impigli nell’inganno

 

che il difficile è proprio stare

dove sei e muoverti

nella piena

immobilità

 

ma questo poi dissi è facile

con le parole.

 

 


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dopo un anno

                         

 

 

 

 

pungeva brezza marina allo svoltare

di una strada 

 

 andati

 

compatti paesaggi sfilacciati d’un colpo

dalla corsa

dell’auto

 

non dovrei tanta ferocia agli amici di un tempo: dopotutto ci si dava

da fare

anche quella è una strada se la via

è l’unica

via

 

per sette anni col cuore non consentì né affermazione né negazione: ecco

 

troppo ho affermato e negato troppo distinto e contrapposto e troppo

sono dentro ancora a quel viluppo

 

amelia rosselli mi disse due anni prima di gettarsi nel vuoto che mi spettava

isolamento

e grande lavoro

che tutto quel cianciare era portato

di gioventù e imperizia

che la faccenda era davvero più dura non ho mai capito

perché mi amasse

forse perché coprendola con plaid di fortuna sul gelido aereo avevo detto che perfino

nel nostro mestiere

c’è cuore

 

il fatto è che sono nuovo

di queste parti ancora solo per qualche minuto

scevro

d’ansia il resto del tempo è ancora tutto

imballato nello stesso

modo come appunto in un trasloco

 

e oggi mariano dice che a lui è capitato

di vivere nel tempo che una speranza durata

duecento

anni

finisce e inquadra

anche il resto delle perdute

battaglie

in questa cornice e giunge così lontano come se diderot

in persona avesse gettato

la bomba

per farla esplodere davanti ai nostri piedi di fine

millennio e corsa

 

ma poi di cosa è fatta una storica

speranza

 

diciamo ci fu grande scommessa nell’ottobre

del diciassette che c’era di tutto e il contrario

che poi ha prevalso

quello che a noi rimase non era quell’ottobre ché tutto

era già finito

prima dell’anno della nostra nascita

ciò che mi divide da lui è questo credere che la storia

sia compatta speranza o collettiva disperazione: non possiamo sapere

come è la cosa nell’insieme

di queste cose non bisognerebbe neanche parlare ma allora di cosa

ha senso parlare

 

per sette anni non consentire col cuore all’affermazione o alla negazione

ritrovarsi ad agire

più dentro

più addentro del mondo e dopo

aver molto dimenticato

allora soltanto

uscire

 

 

                                                                                          1999

 

 

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superstringhe

   

 

 

 

 

le chiamano superstringhe al di sotto anche della più piccola

particella e sarebbero a dieci

dimensioni

come nastri aggrovigliati tendenti

all’unità

perché l’universo da incredibile voglia

di unità poi decade

e forma

cose

bottiglia         bicchiere        barattolo di latta     la tazza

di coccio come ancora si conservano

a Bologna

nello studio di Morandi

 

ma noi dimensioni tre

abbiamo e sono già tante

da farci spersi

e anche se la quarta

tentiamo neanche posso immaginarla

ché contiene la vita mille

altre ma non contano

le tante

e neanche la sola

che uno crede di confezionare con o senza

il fiocco

 

ormai telefona solo ai fratelli una volta

alla settimana

 

quando il tempo è orizzontale

non c’è sorvolo che tenga       le vere

cose non le puoi raggirare: Ulisse giocava con i nomi ma poi

ci voleva proprio la cera

nelle orecchie

o le corde

strette all’albero maestro che neanche lui ci stava

nel suo tempo

senza barare e rispondere

ad inganno soave

con altro inganno

tipico di chi va

per mare

 

al mare gli piace stare sul materassino e dare di tanto

in tanto un colpo

di braccia costeggiando

la deriva

bene: quel che conta è sole e schizzo

freddissimo

dell’acqua

non la direzione

tanto comunque si gira

in tondo

 

come quando Pericle all’assemblea dovette della guerra

giustificare i morti

col motivo della fama

e del comfort in ogni casa

ateniese: la violenza

deve inventarsi

comunque delle scuse: la prima è che pacifico stare non è degno

di uomo

Pericle voleva dire che i suoi sapevano godersi la vita e all’occorrenza

rinunciarci

il tono è quello di giovanotto intraprendente che vuol fare meglio

dei padri che a salamina

respinsero lo straniero: non convince la pretesa

disinvoltura che avrebbero avuto a godere e

a morire : sa tanto

di discorso

del potere

invece vorrebbe navigare come dando di tanto

in tanto una bracciata con fissa

la mente

allo sciabordio

dell’acqua

senza far caso

al mare

 

                                                                           1999

   

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emendamento dei guasti

 

 

 

 

*

quando gli raccontano quel che fanno

a lui

pare di passare

ozioso

il tempo

e non sa che dire

eppure è tutto il giorno preso e deve

perfino scandire bene

le ore.

 

*

evita di incontrarli. Apparentemente neanche

ci pensa ma poi si scopre che ancora

deve fare molta strada prima

di arrivare a che si dica:

è naturale

che voglia loro

bene.

 

*

una sera gli venne male

alla testa

e allora sentì che prima

o poi

anche lui sarebbe morto.Forse

già quella sera

lì.

 

*

aveva cominciato con l’arrendersi

al caso

poi ne aveva preteso

monumento.

 

*

anni passati fuori

dalla radice

anni in cui il piccolo

era grande

e il grande piccolo.

 

*

non aveva atteso il comando

d’avvio

impaziente alla partenza al punto

da sbagliare

prima

di partire

e allora gli dissero che non poteva

far tutto da solo

che doveva fidarsi di loro che poi

sarebbe venuto tutto da sé.

 

*

all’inizio senza un vero giudizio

lasciò che le cose andassero

comunque

ma appena sicuro del successo

volle strafare

e fu perduto.

 

*

non più lo scritto

a specchiarlo

guardava

altro.

 

*

deciditi: vuoi la pace qui e ora

senza restrizioni e senza nome

o vuoi che manchi sempre

un poco e un altro anno

perché sia abbastanza.

 

*

aveva seguito il sentiero

fino ad un certo punto. si disse che era ora

di svoltare ma non lui cambiava

i passi. era la via.

 

*

anche un’altra volta in un’altra

età gli era capitato di vedere incrociati i due

universi:

lunga è la muta e lento

l’occhio

a mettere a fuoco.

 

*

avrebbe forse raccolto un giorno

tutti i pezzi

senza pretendere di chiamarli

per nome.

sempre che tra le cose smarrite

e passate non vi fossero anche quelli

e solo se qualcuno fosse arrivato

fin lì

a chiedere.

 

*

c’era ancora troppo rancore nelle sue parole. Non sapeva

ancora apprezzare non sapeva ancora delimitare e contrapporre: in parte

era ancora lì con loro con in mano

la maniglia

della porta non aperta ma neanche chiusa.

Verrà forse il tempo in cui lo sentiranno parlare in giardino.

O che li penserà parlare in un giardino, dalla via.


 

 

 

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 Seconda sezione

 

               

                   Il piccolo e il grande
 

 

 

 

 

  il piccolo e il grande  (1923, 1997)

                  

                                                             (tra Carlo, il padre e Carlo, il figlio)

   

 

 

il piccolo chiede perché c’è buio e perché

luce

il grande risponde che la terra tutti noi giriamo

e lentamente

 

girando

viene buio e luce e poi luce e buio

che non scompare che ogni cosa luminosa ritorna

e varia

 

più cupa più pioggia e anche

allarme

dell’auto taglia notte e tuono

chiede abbraccio

 

 

poi infermiere strattonarono il corpo in una deposizione

senza pietà

 

                                   mento penzolante

                                         sul petto

 

                                          pigiama

                                       freschissimo

 

in fretta senza riguardo che proprio a loro

toccava il turno

dell’ora più calda di giugno in fretta a sistemare

il morto

a raccogliere lenzuola e fasce

da bruciare

altrove

 

non bisognerebbe chiedere alle cose

di parlare tra loro: sono lì

a graffiare per solo attimo il cielo e l’insieme

non dice più

delle linee della mano: foglia erba tronco tromba

d’aria

 

prima gli disse che poteva chiudere

in pace

il conto

che buono era stato

il passaggio

 

visto da fuori c’era stato di tutto

per una vita

media degli anni

sessanta

dall’ebete

giovinezza alle bombe

il paese fatto colonia comprato prima con pane

di grano e poi in sviluppo e progressione

con frigorifero ascensore auto

e televisione

 

la storia è cornice troppo grande

e sfilacciata l’omino neanche si vede

nel paesaggio e poi la cornice non è

che un altro quadro l’unico che c’è

fermo

sulla parete

il resto tutto il resto è apparso e sparso

 

però

che vuol dire visto

da fuori e media vita

non c’è fuori che tiene ma qualcosa uno

deve pur dire

nell’ultimo commiato: ti sei fatto già piccolo sei già

labile

ricordo

te ne vai

al tuo minimo termine

che un altro

anno

non avrebbe cambiato ma lui diversa

se l’era immaginata

non così oppressa da minuzie la credeva

solenne e per sola volta

immune

 

non bisognerebbe chiedere alle cose

di arredare le nostre attese e anzi

non bisognerebbe attendersi niente

dalle cose (calcolando le orbite

delle comete quando vaganti

montagne e città e le infinite

interazioni  le magnetiche

passioni della terra)

 

 

se anche ora volesse leggergliela lei non avrebbe tempo

e riposo non avrebbe aria

libera

è così difficile pane guadagnarsi quotidiano o è un’altra

l’ansia

del tutto pieno

prende contegno il panico una misura e forse

sarà davvero sbucata su di una via

più sua

lui neanche ci prova

ora che tra i due interpone

un grande

vuoto

 

non bisognerebbe chiedere alle cose

di restare

né puntare ogni porta

che si apre

non bisognerebbe stare dove nulla

è stato

non è monumento: ecco è questa

la vecchia

abitudine della pietra

ad insistere

con pietra e carta, appunto,

si tratta solo di un momento

 

intanto

si sente uno che è scampato

col suo panino in sorte buona o saggia

ma poi non è importante che sappia

(non arriva mai

diretta

la vicinanza)

 

solo che è strano: è come essere ai lati

opposti

della terra

ognuno con ciò che chiama

 

buio

ognuno con ciò che chiama

 

luce.                                                                                                                                 

 

 

                                                               1999


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corso buenos aires, finestra.    

   

 

 

 

                                   

 

 

                                (Il disegno calmo di una finestra basta a colmare la mente)

 

dal tavolo del bar in notte afosa

senza passione con il tossico

all’angolo della casa in piedi

con tossica: però non mi fare

male pagando in natura

 

come si fa a provare quello

che provano come ogni volta che schiaccio

l’insetto il dolore chimico nell’ultimo istante

quando non c’è coscienza

o forse chissà quanti sono

i modi

del sentire

ne abbiamo preso uno

in occidente e qualche altro

di riserva come nel reve  che in mille

da ogni luogo giungono in fila di auto sulla montagna

con tecno alta a provare ad essere fuori

di testa visto che il mondo non cambia

 

 

bisogna cominciare ad amare con sé

facendo pace

perché quarant’anni di malinteso

amore sono tanta confusione

 

bisognerà cominciare con la cura

uno ad uno

uno alla volta

aspirando di ognuno il dolore

un po’ per volta

ed espirando conforto chiarezza rottura dolce

del nero

quarant’anni di restringimenti quando crescere

era soltanto nell’arte degli spilli

per reggere il disegno

di una storia

quarant’anni di nomi che lasciarono a caso

filtrare un po’ di bene

nominando tutto come si copre un cadavere

con un lenzuolo

 

 

(non sono molte le cose

importanti ma le poche sono difficili e solo

dopo nel dopo che non lascia più

scampo le vedi andare

mentre ogni giorno

non viste

stavano e stanno)

 

bisognerà cominciare a non avere paura dei deboli

confini della mente e del niente

opaco che la racchiude

fino alle nuvole

 

(cose che sembravano poche

non abbastanza

o non ancora

ora sono infinite e tutte qui

ed ora)

 

uno ad uno                               

uno alla volta

 

un po’ per volta

nei deboli confini della mente

restituendo loro un corpo

di pioggia e di niente

                                                                 

            

 

                                                 1999

   

 

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                   Tutto questo sparirà           

   

 

 

 

 

(sta già sparendo mentre sto fermo

andando)

 

principiante tra chi ha principiato

se dovesse finire mi troverei

scolpito nell’inizio

 

di ogni inizio

 

ma ci fu qualcuno che diminuendo fece della vita grande

occasione

                       che non si staccò mai dall’origine

e fece

della sua casa e degli amici

continuo

esercizio di realtà

 

ad una certa età si fanno i conti

col tempo

la storia non li fa:

è babele

di racconti interessati

ad incantare folle

a morire

 

alla signora in tram dicevo che freddo non fa

che è un fatto di testa

il freddo come quasi tutto

il resto

ma lamentarsi e in ogni

cosa vedere il nero

è più forte

 

 

 

insieme si tengono dandosi scopi e mezzi

guardandosi in cagnesco o scimmieschi

applaudendosi:

in grande accade

quello che sul set si vede dei giochi a premio

l’altra faccia della cuccagna

è foresta

della micragna

 

vedi per questo

il mondo è così opaco

quando non è truce

 

 

e dici :

            fa caldo

 

e dici :

                  fa freddo

 

 

(del padre di anna mi restarono lamette

da barba e fu quella

la prima volta che vidi

nel freddo

la pioggia di sempre suonare

nuova)

 

dici  le stagioni cambiano

che anche il polo magnetico della terra

s’invertirà

 

che il vulcano ogni vent’anni

puntuale erutta

o forse cinquanta o trecento: c’è piero che da storico

rintraccia

dai limiti delle terre i contadini alle prese

con la lava

la lava che cancella i muri di cinta e quindi si litiga

è tua è mia di chi è

questa terra che prima

non c’era

 

(è tuo è mio di chi è questo pensiero

che prima non c’era)

 

(i vestiti, le medicine, l’orologio

cose che inutili

restano

ai morti e ai vivi)

 

                (se dovessi finire sarei all’inizio dell’inizio anche con te)

 

per questo non importa che a finire

la poesia ho solo

dieci minuti

per questo riuscissi a chiudere come se l’iniziassi

 

a telefono ti dicevo che anch’io

sono oggetto strano

ora

per te

che il sesso non ha più vista

che tutto è odorato

e tatto

che è tutto da cominciare, appunto

che nuovamente

ora

davvero non si sa

 

(che meno male)

 

 

                                                             1999

                                                                                          


 

 

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 dopo due anni

 

 

 

 

                                    

 

                                                      i cieli  e la terra sono pieni

                                                 della tua gloria

 

suonava così nel tempio e mi trovavo lì

per starmene un po’in pace e per vedere come in altra

lingua si dicesse quel sapore

vivido

di mattina di maggio quando a fondo radendo

la barba un poco ci si rinnova la faccia e si

svuota

 

                                                   come se fosse bastato sapere

del paradiso

perché comune fosse il cammino

                        (ma non c’è cammino e quel che può essere comune

non riguarda il paradiso né qualcosa

che si possa progettare)       e chi

l’avrebbe detto prima

che non c’era

niente da conquistare che il culmine

era tutto nell’inizio

 

chi l’avrebbe cercata lì

la gloria

dei cieli e della terra

quando cielo e terra erano solo oggetti

di previsione

come quando prima di partire si vuol sapere

del tempo e se il volo

avrà rinvii o per nebbia

dirottamenti

quando anche andando tutto

come previsto il massimo che ci è dato

è soddisfazione di chi

quotidianamente puntella

il suo stress

come se fosse qualcosa

e non invece

un nulla

 

                        fosse stato per me

non sarei mai divenuto: è atto quasi violento

il nuovo

che l’amore

impone e quando ci sei dentro

è arretrare continuo

 

          ( resterà nella memoria della figlia

la spiaggia

di Palma

la buca scavando

come da piccola

indaffarata e briosa)

 

fu allora nell’altrui gloria che vidi

la vita in parte

andata:    

che vada!

dedicherò gli anni (se lo sono

e non mesi o minuti)

che avanzano ad addestrarmi

ad essere felice ed aperto

a meritare l’inizio di ciò

che continuamente comincia

 

                             (e pensare che uno crede che l’importante

viene dopo attenta riflessione che il destino

possibile

sia frutto

di elezione)

 

                 cancella  cancella le tracce

                 al tuo passaggio

                 prima che il cuore si richiuda

                prima che normalmente ghiacci

 

                       e intanto a quanti

di energia a pacchetti

postali le stelle

senza fretta si parlano in radio

o in luce

si tengono strette

in scambio fitto

fitto di particelle o corde

e dentro questo flusso nella mescolanza

dei tempi infiniti  arriva un tempo in cui l’arte

non ci concede più

di nasconderci

e richiede per sé ciò a cui da sempre crescendo

abbiamo temuto di dover rinunciare: non il verso

imperfetto – che la tecnica si fa quasi

presto ad imparare- ma il verso

gratuito quello già nato per essere ascoltato

 

tra cielo e terra

le diecimila creature

                               prima che il cuore si richiuda

                              prima che normalmente ghiacci

tra cielo e terra

parlandosi in radio o in luce

in un continuo di radiazione

 

                                                cancella le tracce al tuo passaggio

 

che consapevole sia la passione

 

                                                prima che il cuore si richiuda

 

senza intenzione né progetto              prima che lentezza sia ritardo

 

prima che resti                                    solo il guscio

 

perché l’amore che ci metti

resta

e non si perde

 

                               (intonando)     i cieli e la terra

 

l’amore che ci metti qualcuno o qualcosa

                         (intonando)                                son pieni

 

 tra cielo e terra qualcuno o qualcosa

                                    (intonando)                             i cieli e la terra

 

 

lo ritroverà  

                                                                                                                      2000                   

   

 

   

 

 

 

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è  così

 

 

 

 

 

è così    dicevo

e volevo dire: non può essere altrimenti e non ha senso

ribellarsi

          è così

 

        (è strano come nel tempo siano cresciuti strati

di menzogna come ci riesca difficile guardare cose

semplici

semplicemente)

 

giovanni il biologo dice che più studia virus e più

sembra miracolo che stiamo

ancora a parlare davanti a bottiglia

di vino mentre invece io ci affondo

dentro: la natura

 

non è buona non è cattiva è il disegno

che manca: è bello è mostro: è solo

leucocita che scambia proteina

per un’altra

e furioso attacca

ma neanche questo

è

perché la furia è senza pensiero

la chimica è nel fondo ancora

una poesia

di affinità elettiva

è alchimia molecolare ancora metafora

che numero non riduce

come quando l’elettrone si disse nuvola

d’energia come se potesse esserci cielo

prima del cielo o pioggia prima

che piova

 

ma di ciò di cui non possiamo

parlare    - poveri -

non possiamo neanche tacere

se resta malattia mistero

misteriosa è anche la cura

 

 

  *

eppure talvolta una voglia

di ringraziare

non qualcuno o qualcosa e forse

non è ringraziamento

piuttosto atto

di integrale realismo tolto il troppo

della speranza e il troppo

poco della paura

averlo tutto intero alla mente

il male

 

e proprio per questo mentre viene su

il primo respiro al mattino

al primo sorso di tè

rinnovo assenso dicendo ‘si’

ci sto

tremando

ma senza distogliere la mano

dalla tazza

lentamente

fino alla bocca

che non si compia senza di me

che non si compia con ancora me

di mezzo

tra nuvola e cielo

tra particella e campo

 

 

   *

ogni mattina prego per il piccolo

cuore malato

e dò col pensiero

energia al muscolo ferito chè riprenda

il suo volo:

anche la mia

vita non è più la stessa anche se davvero

la stessa

non è mai stata:

è che ci si abitua

talvolta a dose media

di bene e male fino a che non si rivela

il tempo per quel che è

                distesa

dove accade

anche

quello che può

accadere

ci piaccia o no

 

niente si ripete uguale e l’universo

è troppo grande per farne abitudine

e non dico galassie che ci manca

la materia

giusta per far tornare

il conto

(la chiamano oscura

ma quella che si vede

non è più chiara)

ma la vita

          che ogni giorno

si dà scontata

e che si tace pensando all’altro

che manca

come se davvero potesse mancare

qualcosa

 

ricominciamo dal dolore sempre

per ritrovare tenerezza

e pieno

 

ricominciamo dal dolore sempre

per traboccare

 

e quello che era incidente e sfortuna

di statistica

distribuzione

d’un tratto diventa

storia di cieco

vicolo da illuminare

 

(non è questione morale la menzogna

è l’occidente

intero che fa complici: non fu del vuoto

l’orrore

sin dall’inizio fu

del presente la calma

a non potersi sostenere:  è tutta una storia

lunga andata male

         come quando categorico

divenne l’imperativo a darsi da fare

come se fare fosse cosa

da darsi)

 

come se davvero potesse mancare

qualcosa

alla vita

e lo diceva pino all’enoteca: la massima

ambizione delle vita è la vita stessa

 

 

   *

così madre e bimba si ritrovano illuminate

da luce di televisore

come in ritrovata luce naturale

e ciò che prima stava per noia

ora è promessa

e pura salute

e ciò che prima era importante

ora è futile distrazione e non si tratta

di mattine incrinate allo specchio

trepidando un posto

nel reame

         o di ambizione a lungo

coccolata su cui si misurava il fatto

col da fare ma dell’intero modo

di vivere e subordinare affetti

ad interessi

dove non si sa se presunzione

preme più dell’ignoranza e questo

con ostinazione

fino alla vigilia

dell’ora che torcendoci il collo

ci costringe a riconoscere proprio

ignoranza e presunzione

 

(ch’è difficile sostenere per più

di un secondo

che tra migliaia di correzioni di genetica

informazione una

possa mancare

che non è l’ordine

il senso del messaggio ma rabbercio

continuo dell’errore)

 

che insomma fino a quel momento

abbiamo urlato contro la pioggia e il fulmine

che fino a quel punto abbiamo imprecato

e provato a ricacciare la grandine

in cielo volendo coi sassi

bucare le nuvole

 

 

   *

per tutto questo ora in piedi

noi ringraziamo:

 

per luce di questo mattino che fa verdi

le foglie del parco

per saracinesca del fruttivendolo che si solleva

e per le casse

ricolme di frutta che ancora una volta

intralciano il passaggio

per il risveglio nelle case perché buono

sia il giorno e buoni gli incontri le parole

e i pensieri

 

per le prime parole degli amanti chè a lungo resti nei corpi

l’offerta

di sé e fonda sia la dimenticanza

 

per risa che ancora risuonano nella stanza

per rombo di saracinesche che si sollevano

          per vocìo dei bimbi nel parco

per gusto che ci fa baciare e accrescerci

dei frutti della terra

          per vino rosso e bianco e per maria

          che lo mesce

 

per tutto questo ora in piedi

          insieme ringraziamo

          le piante

e in particolare la digitale che aiuta

il moto

del cuore e lo invita

a riprendere il volo

          con la madre e la bimba illuminate

da luce di televisore

nella luce di questa mattina di luglio

come in una ritrovata

luce

naturale

 

          noi insieme ringraziamo e così

          sia.

 

                                                                                                               2000 


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I sassi. Che sono tanti.

 

 

 

 

ad aprirli d’improvviso

gli occhi

sulla spiaggia

 

          i sassi

 

e sono tanti

 

quanti gli occhi delle creature e il premere

sconnesso

delle storie

                       e in quelle ho visto

signore in costume

da bagno

che mi dava curvo le spalle: avrà avuto una ventina

d’anni più di me

e in quella secca

pelle e ossa

dolenti

mi sono trasferito

 

non sarebbe molto diverso: non tanto i pensieri

che saranno altri

quanto l’aggrapparmi a quel futuro

presente

come all’unico

mondo

 

e potrò dirmi anche allora che

tutto questo tempo che è una vita

ed è niente

è bastato solo a far questo

e a far quello

a fare di alcune giornate

sperse

in  qualche decina di anni

una

biografia

 

                       come il bimbo con bolle

di sapone

il riflesso dura

quanto il tempo di screziarsi

e in quel tempo la bolla si torce

e sbava

si gonfia fino a farsi

goccia

e basta

 

 (come una valle raccogli

           l’acqua

                 e queste pene

                      sostieni le creature)

 

 

ci sono inferni quotidiani quando propria

mente

non è successo niente e sono inferni

incorporati

pronti a scattare se in casa

qualcuno per gioco ha sciupato

tutto il sapone

o perché nostra fatica

e nostro impegno diventano minaccia

per un altro

la cui fatica e il cui impegno

noi non vogliamo immaginare

 

                                non bisognerebbe esultare per un momento

di calma

                     (perché non siamo calmi)

 

                                 non bisognerebbe inorgoglirsi

per gesto generoso

 

                     (perché non siamo generosi)

 

e si che vorrei convincere filippo

a farsi bastare

quello che ha

che come si dovrebbe lui lo fa

solo

suonando

che non l’estende

alle cose l’arte

di cambiare in ogni istante

il tempo

 

è cosi: l’occidente ha ridotto

ad arte

ciò che sarebbe comunque

la vita

ora neanche ci provano a riportare le cose

alle cose

l’esperienza

all’esperienza: l’artificio

che doveva mostrare l’inganno

e di netto

illuminare

è diventato matrice di continuo

scambio

che di continuo 

allontana

 

                       e non c’è scambio

ma offerta

 

e non c’è monumento

ma cammino senza cammino

 

 

                                 non bisognerebbe esultare per un momento

di calma

                     (perché non siamo calmi)

 

                                 non bisognerebbe inorgoglirsi

per gesto generoso

 

                     (perché non siamo generosi)

 

e ciò che chiamiamo ‘pensare’ è gran rumore

nella testa

che se non è abbastanza

ci affrettiamo

a telefonare

o ad accendere televisore e così

diciamo passione

il tentativo di fare

più decente

l’agitazione che ci prende

 

(e in quel tempo la bolla si torce

e sbava

si gonfia fino a farsi

goccia

e basta)

 

 

 

 

 

*

                                   ad aprirli d’improvviso

gli occhi

sulla spiaggia

 

                      i tanti

bagnanti

 

ognuno con sua pena e furia

appena coperte da indaffarata

rilassatezza

sulle sdraio

o coi piedi ciondolanti

a riva

e le teste  piegate

sul telefonino

 

                  eppure vera è la pena

                 e vera è la furia

 

(come valle raccogli

         l’acqua

              e queste pene

                  sostieni le creature)

 

 

ma come?

se dopo i sassi dopo i tanti

ogni cosa

torna come prima

e i sassi fanno male sotto nudi

piedi

questo cammino

non avrà mai fine

 

 

 

perché generosità è ancora

                       estetica

perché nostra calma è ancora

sensazione:

dovrà esserci sempre un ponte

per la finzione

delle sponde

e che non esiste fiume possiamo

solo abituarci

a immaginarlo

ma a camminarci davvero sul lago

ghiacciato è altra cosa

 

 

perché non è la tenerezza di un momento

e neanche il buon proposito che in ottimali

condizioni

possiamo formulare

ma rifare tutto daccapo

cominciando da nome

e cognome e dalle immediate

percezioni

badando ogni giorno al flusso

della mente

a cosa porta la corrente

e lascia

sulle nostre sponde

 

                                 non bisognerebbe esultare per un momento

di calma

                     (perché non siamo calmi)

 

                                 non bisognerebbe inorgoglirsi

per gesto generoso

 

                     (perché non siamo generosi)

 

                       vero è quell’attimo di dolcezza

a cui ripenseremo mentendo

come il culmine

della passata

felicità e che se fossimo

stati più onesti

avremmo riconosciuto sin dall’inizio

come crepa

nella durezza

della bolla

 

(e che non esiste fiume possiamo

solo abituarci

a immaginarlo

ma a camminarci davvero sul lago

ghiacciato è altra cosa)

 

 

 

                                                                                                     2000


 

   

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