La poesia di Biagio Cepollaro

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Luna persciente

 

 

li umani non supportano troppa realtà

e manco io ca mento per star dentro

 

e non uscire che de pistillo in occhiata

se smove e basta per appena un pò aperta

 

la porta e se spalanca non ce sono castelli

né strade e architetture sane ma svolazzi

 

annusate che l’hai già votata la testa

e non resta altra strada alla visione

 

e ria ria ria il detto si tiene se unico

è il flusso e chi lo genera ma chi

 

tra noi toccato dal buio ce lo racconta?

 

 

                       (tendopoli)

 

gli occhi nelle tende disperdendo le mani

neri capelli ricci ammassati dai moti

 

arrancando contano pochi un cielo non percorso

da satelliti lingua a due a tre senza parlare

 

senza all’inclinazione all’incavarsi a fossi

pietre muschiose odori radici radici ancora fosse

 

intorno e dietro intorno e davanti sfilaccianti

le donne in terra i vecchi in fanghi in ossi

 

luna persciente                              luna ditante

luna ca dispensi calmezza a chi ti sfiora

 

luna ca t’interiora sanza dire una parola

ma tu dagli sotto sfronda ma tu sfonda!

 

sfronda enumerando inventariando debilissima

appena apparsa per me persciente luna nova

 

specchiante da qui presi moti e conquisi

il mobile viarieggio che mi spinge infante

 

luna persciente                              luna avvolgente

                     luna stebiliante

 

uno s’ancide causa sui prima che il verno

lo colga ‘ngialla ma tu dagli sotto sfonda!

 

e crackeggiando alberga mi scivolo

in oral sembiante m’assemblo rammemoro

 

ma tu vuolmi coglimi vogliami vene

qui nell’ampiezza ch’è larga ch’è stretta

 

del petto passaci sopra mixa massaggia

il tuo bene messaggia di te addentrati

 

rincarami la dose con le cose ch’è buio

foio fino allo sputo allo sputo disìo

 

moltiplica in gran cassa riempi la casa

porta alla spossa st’inutile verbosa scossa

 

                (la mattanza dei corpi)

 

venienti bilicosi dall’otomobili grintosi

svolsero le piane in un follìo di grame spemi

 

in lotto partirono la terra tenendola per fili

cima e radice fin sotto alle sfalde sfaldavano

 

di ritaglio in ritaglio ecco lo stomaco e come

s’arravogliono l’intestina e come l’interiora

 

si sfanno e reggono proprio sfacendosi proprio

cumulandosi in rennovato e scanusciuto giro

 

e non so quali per viali st’agitarsi de strali

lùngiano i mali e quali nutrono per discordanza

 

e se codesta mattanza porti a più sapiente core

o se l’è cassa la bilancia dell’acquisto perdenza

 

in tutta naturalezza, dicendomi. Risarciscimi

buon dio del mai dato-avuto-digerito-nghiottito

 

ridammi pre-masticato anche male conciato a-

proteico disgiunto entropizzato il fiato lungo

 

dietro l’orecchio l’abbraccio il fianco prestato

e restituito il fango adulto il grigio ‘mpastato

 

di chi dà di chi prende non scompare né

scompensa o taglia corto in breve non si scotta

 

né sconta in tutta naturalezza col dito puntato

in un fioccare di spilli cenando continuando a farlo

 

               (antenne in espansione)

 

restare è improbabile se sotto il fuoco d’artificio

procede a sbalzi tra emissione ch’è nascere e

 

assorbimento ch’è morire in lampo di luce solo

non muore il fotone ca l’è sanza luogo e tempo

 

preciso già dato tutto in espansione e scontri

abbraccia e dallo scompiglio quest’angolo a caso

 

durato diciamo mondo si diventa in città

medianici a furia d’antenne e di sensori

 

 

in tutta naturalezza, dicendoti. Me posso poggiare?

il vecio ma mica barboun anzi rossastro avvisato

 

me tremano con la schiena revolto all’indietro

e le buste dalle ci casca la carne e la frutta

 

permetto s’appoggi che la facciamo la strada

la guadiamo ma guarda ste frecce ste ‘ndulazioni

 

d’asfalto le suole c’ho la machina qui vicino

sì come suole la lascio davanti al portone

 

arrivarci s’appoggi rossastro avvisato per sforzo

sforzato me casca in tutta naturalezza, dicendoti

 

e quelli nervosi franti stapiglianti

di bocca in bocca spigolanti da

 

capoverso a striglianti loci cipischiano

sfrutano voci zimpicchiano di lato

 

stilano brevi in brevissime note

l’ammiccante dittato in noi ca slittiamo

 

di dettaglio in dettaglio fissati

in sublimina in panna in fotogramma

 

toda la città l’è trasùta umbuta

se svascia oliosa da bottiglia

 

e chi a colpi di freno interrompe

la partenza per nuovo farla

 

chi lo stacca dal suolo o atterra

schizza violenta sotto lo scafo

 

con l’acqua inizia la corsa

non è un fare ma è un patire

 

 

in tutta naturalezza,dicendoci. Sempre se piove

o continua così il nebbione ca siamo tutti

 

dentro ar pallone che sfiata che scascia che nicchia

oh a quest’ora se c’è folla non succede da sola

 

n’altra cosa, dicendoci. Rimpizza  rincolla rimbraccia

ancora a guadare a sfollare chi va (dove sa) sale

 

chi no terriccia ai lati lateggia sonnecchia riapre

una mano sbadiglia te lava er vetro te scompiglia

 

la guida l’assortiglia-penseri  l’in-fieri cognoscendi

il valutandi il prospicienti del caso il dicendosi a sé

 

in tutta naturalezza con la pezza per i vetri per gli spetri

non badando troppo ai ciechi ai muti agli sciancati, diciamo

 

 

        e stagno è il cielo e stagno è la terra

        e stagno è l’apeiron di cielo e terra

 

        e stagno è la conditione stagno la corrente

        e stagno è la mente

 

 

pericolanti e sicuri

semaforanti

con più bisaccie con più

tracolla

telefonanti

li scruti angolati

colati dai muri

verniciosi

fosforescenti

entrare-uscire

salire-scendere

guardare far finta di non

spirare sparando sul mucchio

roseo-forbenti

scienti di grosco

di frodo

 

ma anche pacificamente distesi. disse: poggiando

su di una nuvola nelle ore-relax mi sovvenne

 

cominciando un corso apposito la sera e se piove

con l’auto al suo parcheggio ne ritorno nuovo

 

        (tendopoli al chiaro di satelliti)

 

per il freddo non riconoscendosi viluppo

collante idea fissa ossessione dei capelli

 

bucati per far posto può entrare?  cosa può

uscire? i piedi le zampe di poco le braccia

 

possa vivere in sicurezza afferma in ogni

casa illuminata come cambiano resta quella

 

nei crani la curva del pianeta s’accamparono

le mani nessun segnale del perdurare delle

 

pietre muschiose ma dietro di loro sotto un cielo

percorso da satelliti fossi nelle tende i crani

 

          (epistola alla moglie Franci)

 

disertato inerme cupiscente

lanciato in un lascia-spingi

 

di viale gente fioccoso

ripiegato tutto dentro al

 

torace occhio allo sterno

stremato senza rullo agire

 

o tirimballo euforico

luccichìo sempre mio

 

hio fio de te montante

de me discinto in insula

 

in peninsula alla cervìce

hio contratto e vicario

 

affettivo fantasmatico

dal vico dirimpetto ascolto

 

 

il mondo è largo è stretto

prolisso e conciso in dato

 

a fetto a imballo un dato

sconcio accetto tagliato

 

a fondo sfrondato inaffiato

a siero biossidato

 

scurato bene poi schiarito

ossigenato e vieppiù mendìco

 

e dico c’è quel che c’è

 e cash cash cash

   e dash dash dash

      e cresh cresh cresh

ma scap scap scap

 tencresh?  tencresh?  tencresh?

 

e mi dirai c’è troppa polvere

sullo sterno e forse sterco

 

o il becco tranciato vivo

dalla porta automatica

 

senza mai fiorire ecco colto

sul fallo se esserci è già sballo

 

na roba artificiale un tranchiglio

scorrere di sangue un fare infine

 

quante spine e mine per un cappello

quante cene dicendo solo quello

 

che dal fatto i nasi disvia e sfiuta

ma grandemente e con frutto sfiorire

 

e dico c’è quel che c’è

 e cash cash cash

   e dash dash dash

ma scap scap scap

 tencresh?  tencresh?  tencresh?

 

li omini non supportano troppa realtà

e manco io ca mento per star dentro

 

luna persciente

luna ditante

 

luna persciente

luna avvolgente

 

 

luna ca t’interiora

sanza dire una parola

 

ma tu dagli sotto sfronda

                                        ma tu sfonda!

 

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