Capitolo settimo
            
            Il sole è già
            tramontato.
            Con il faretto della
            bici si vede poco o niente, minuscole strisce illuminate
            sull’asfalto. In bici mi son fatto 26 km da quell’inferno
            dell’autogrill e non mi sento al sicuro. E poi quel bagliore che
            si alza deve venire proprio da lì e il puzzo di gomma bruciata che
            la brezza sparge. Pedalare piano, piano respirare.
            Hanno tagliato il filo
            dell’orizzonte facendone pacchetti. Hanno sospeso la linea
            dell’orizzonte e ora ne fanno ciò che vogliono…
            Il parco deserto,
            deserto dopo lo scoppio. Sono scoppiate nella Notte dei Botti anche
            le parole e ora la cenere ricade sulle immagini e sui luoghi comuni.
            Pedalo e sudo. Sudando sviluppo pensiero.
            Bisogna ricominciare da
            quello che uno sente col naso. E ora sento il puzzo di gomma
            bruciata e il rombo degli elicotteri che volteggiano sul bagliore.
            Di coscienza olfattiva,
            di linea d’orizzonte tagliata parlerò ai resistenti, se davvero
            ci sono, in cima all’autostrada. Di questa gomma bruciata, del
            Tirabuoni dirò, e a loro chiederò dell’ amor commune e
            del far casa appartata e del Gran Corpo, a questo
            penserò prima di cedere al sonno, al primo sonno dopo la Notte dei
            Botti, dopo la notte delle Libere Espressioni… Ma esiste l’amor
            commune? O è solo temporaneo accordo tra facce di merda, modo
            per spacciare per ‘ generali’ interessi che restano di parte? Oh
            furiosa nostalgia di condivisione e comunanza! Noi che fummo sottili
            a leggere tra le righe delle grandi promesse, fiutammo l’inganno,
            ma la beffa doveva ancora arrivare… E sarebbe stato anche più
            onesto: un franco dominio su schiavi, come all’inizio
            l’Occidente aveva tentato, affidabile e in buona coscienza. Con
            Aristotele: ognuno realizza la sua propria natura: lo schiavo la
            sua. Felicità e virtù da schiavo, dalla potenza all’atto,
            attualizzate. E Seneca, anche. Al suo amico nel vortice
            esistenziale, vortice di mare grosso di un’eterna convalescenza,
            tra ansie e tranquillità, era affabile e illuminante dicendo che
            poi, a volersi distrarre, viene a noia anche il circo, viene a noia
            anche il sangue, per l’eccitazione degli spettatori in gran copia
            sparso…
            E il far casa
            appartata? Si fa coagulo di nevrosi ma anche si raddoppia lo
            stipendio o triplica, in conduzione consanguinea. Cresce l’amor
            filiale con lo svanire o scemare dell’abitativa offerta… E i
            figli restano più accosto ai padri e i padri, ancorchè vecchi,
            continuano a vantarsi di reggere intero il peso
            dell’approvvigionamento. E mentre la casa si rinsalda
            nell’originario nido e il nido si restringe nel moltiplicarsi
            delle generazioni, il lavoro si fa evanescente e mobile…
            Straripa così il
            presente nel taglio della linea dell’orizzonte. Si ribellano gli
            organi e si ammalano. E nel Gran Corpo le differenze si fanno
            abissi incolmabili, tutto, disarticolandosi, si scolla. E li vedi,
            prima del tracollo, al sabato, con i secchi e i detersivi accanto
            alle auto e li senti discutere e urlare e poi spegnersi nel
            precipizio della stanchezza e del sonno. E il Gran Corpo oggi
            visibile in tutte le ore non ha vergogna di sé. Civiltà che
            entrano nella sabbia e affondano lì dove altre civiltà prima sono
            affondate. Senza vortici, senza risucchi, lentamente, scomparendo.
            Sono davvero stanco.
            Da stamani che pedalo.
            Prima notte all’aperto. Ma che aperto è questo? Senza
            velocità, senza le ruote che seguono la linea e tendono a cucire, a
            unificare, senza la velocità che raccoglie e fa uguale, la terra
            sotto i piedi implode, insetti ronzanti, scaglie di asfalto. Ed
            eccomi qui sull’asfalto, ridotto a squame; neanche un casolare,
            solo quel bagliore. Le segnaletiche ‘verticali’, ‘orizzontali’:
            disegni sulla pelle di un coccodrillo addormentato che ora si
            sveglia. La stanchezza e questi insetti scampati ai parabrezza, le
            loro danze, i loro vortici nella palude.
            I Resistenti dovranno
            cercare chi sa, chi ha visto. Continua a bruciare la gomma e il
            bagliore è alto, le fiamme si alzano dall’autogrill, altissime.
            Il cielo è lì. Il cielo solcato dalla spazzatura dei satelliti,
            materiali di scarto, insidia per la navigazione. Sulle nostre teste
            ora tutta questa spazzatura, monnezza elettronica, meccanica,
            monnezza che orbita e che intralcia le navette spaziali, i guardoni
            planetari. Merda orbitante. Gli ordini sono ordini di merda
            orbitante. Ordini orbitanti e sospesi, calcoli sulla tenuta della
            moneta, dei pannelli solari, delle frontiere sui baratri.
            Dormirò sotto questo
            cielo e i suoi doni. Domani nulla potrà impedire al sole di
            nascere, neanche tutta la monnezza orbitante, neanche le
            interferenze radio nelle coscienze, neanche il puzzo di piscio e di
            gomma.
            Sole, bagliore di una
            vertigine. Neanche tutta la monnezza orbitante potrà mai fermare
            l’Apportafrutti, l’Apportaluce, l’Astro Maggiore… Pensiero
            consolante per chi, nel bel mezzo della notte, è preso dalla
            vertigine… Dormirò sotto questo cielo percorso da satelliti che
            ti spiano e ti sanno riprodurre anche il pisello, scovato dalla
            finestra e fotografato. Dormirò sotto la monnezza rotante…
            Tra gli scarti, i
            rottami, i transistor che vanno avvitandosi intorno ad un asse
            dimenticato, anche le annotazioni si addensano e fanno scheggia di
            pianeta o meteora. Annotazioni che guardano la terra e poi di nuovo
            il vuoto e guardano il vuoto come si estende dentro la terra e come
            la terra va svuotandosi. Bocche spalancate dalla fame e
            dall’orrore, bocche spalancate dallo sgomento e dall’urlo
            inudibile… Bocche tra gli scarti, sono già rottami, fotogrammi
            vaganti, fotogrammi mandati fedelmente in memoria per poter essere
            meglio dimenticati. Pellicole che si svolgono intorno alla terra,
            pellicole che sono i nuovi anelli del pianeta. Pellicole tra gli
            scarti, le schegge, i rottami e i transistor.
            E il Grande Scroscio
            della Liquidità, la Fiumana Schiumosa romperà gli argini
            confondendo la Notte dei Botti con la Grande Notte Astrale.
            Tirabuoni sarà trascinato con la sua sdraio nel cosmico risucchio
            delle acque e il Nocetti si troverà a proprio agio nel vuoto,
            finalmente. I vetri dell’autogrill potranno franare all’infinito
            e fare una luccicante cascata fino alla luna. Cascata che inverte
            ogni evidenza e legge che straripa dal basso in alto a significare
            il nuovo regime… Anche i camion potranno sgusciare e avvitarsi e
            sgusciare di nuovo, camion- lombrichi, camion –farfalle, alla
            deriva. E poi dal grande squarcio della vetrata dell’autogrill
            potranno prendere il volo i settimanali colorati, le cronache rosa,
            le videocassette, le Barbie, gli Hi-man, gli artigianati locali, i
            salumi, i formaggi, le insalate russe, i cavatappi galleggeranno
            sulla Fiumana Schiumosa che sarà la fiumana Lucente, coda di cometa
            luccicante, fin dentro lo spazio della Grande Notte Astrale. Dormirò
            sotto questo cielo percorso da satelliti che ti spiano e che sanno
            riprodurti anche il pisello, che tutto fotografano e tutto scovano
            dalle finestre; satelliti sensibili al calore, che vedono il
            calore…Tra cappotti e discoteche, nelle auto, nelle case, nei bar,
            tra ristoranti e accompagnamenti, sugli autobus e nei treni, nelle
            attese, nelle partenze, tutti dentro questa speranza di calore…
            Neanche tutta la
            monnezza cosmica potrà fermare l’Apportaluce, l’Apportafrutti,
            l’Astro Maggiore… Ma stanotte la terra rigurgita, si è
            sollevato il coperchio…Mura imbrattate, rigogliose cloache che
            risalgono le correnti, feccia nelle facce dei passanti, capelli
            rasati a zero e giubbotti neri. Il nero lo abbiamo visto e filmato.
            Il nero ritorna.
            Pattume travestito da
            passante, mascherata del nulla, untume sulle mani che sono artigli.
            Stanotte la terra si è aperta all’annuncio del telegiornale…Si
            è aperta a strappi, per successive edizioni, e dalle bocche a poco
            a poco, poi in un vomito, è esplosa la lunga latenza…Stanotte la
            terra si è aperta all’annuncio dei botti…
            Scriba si addormenta
            sul ciglio dell’autostrada mentre la Notte dei Botti ha spazzato
            via il Centro e i suoi ragazzi.
             
            
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